OPINIONI (o RACCONTO?): Il Pronto Soccorso ai Confini della Realtà


La gamba è gonfia, diventa nera, tumefatta. Mia sorella senza esitazione dice “No, non è mica normale, si va all’ospedale”. “Ci vado io, tu hai le bambine”.
Dentro di me parte il panico, so cosa sono i pronto soccorso di un ospedale, soprattutto se l’ospedale è grande. Ma se è piccolo e meno intasato probabilmente è male attrezzato, così vanno le cose qui da noi.
Decido subito di chiamare l’ambulanza, mia madre ce la potrei portare io, ma ormai la sfiducia in qualsiasi posto organizzato e istituzionale e chi ci lavora, è così diffusa, che immagino le discussioni con lo sportello del triage, per non fargli dare il codice verde, ma almeno il giallo. Magari no, ma se allo sportello mi trovo uno stronzo, a mia madre nel frattempo la gamba gli cade. “Trombosi” è la parola che terrorizza, non ho ancora capito cosa significa, mi riservo di informarmi, so solo che è una cosa grave e su una donna di 78 anni, con due protesi alle ginocchia, problemi cardiaci e un’ artrite reumatoide  di quelle brutte, con fiumi di cortisone e fluidificanti che scorrono nelle sue vene, la preoccupazione è d’obbligo.
Per cui ambulanza, 118, dove non posso decidere in quale ospedale portarla, ma almeno so che è molto più probabile che gli assegnino il codice giallo. Infatti ho ragione, i ragazzi dell’ambulanza comunicano con l’ospedale di prossimità e ci dicono “ci danno il codice giallo”, con tanto di sirene a tutto spiano.
L’ospedale è grande e odio andarci, li ci è morto mio padre, mi fa paura, mi risalgono in mente quei giorni e mentre sono in macchina che seguo l’ambulanza mi sento quasi incorporeo, come se stessi uscendo da me stesso, il senso dell’equilibrio un po’ sghembo, penso come mai i volontari delle ambulanze sono sempre tanto gentili e umani, non potrebbero passare questa cosa anche ai medici? Tra l’altro uno dei due è davvero figo, ha troppo il sopracciglio disegnato col laser, ma è davvero gnocco. L’altro ha proprio la faccia da cannaiolo, ma è davvero simpatico, trattano mia madre con molta tenerezza.
L’ambulanza sfreccia con le sirene a tutto spiano, io non posso starle dietro, devo rispettare i limiti di velocità, ho appena preso due multe perché andavo a 60 invece che 55 Km\h. Son quelle cose che ti fanno pensare che il sistema stia diventando sempre più disumano. Comunque conosco la strada, perfettamente e arrivo li, con la borsa pronta per un eventuale ricovero di mamma, parcheggio (a pagamento ovviamente, a me pare una cattiveria tale, far pagare il parcheggio per gente che magari sta andando ad assistere la morte di un parente, è lucro sul dolore!) e prima di entrare guardo la struttura bassa e silenziosa, mi sembra una roba da film di fantascienza, tiro un sospirone e mi dico “sei pronto?”, “Ok sono pronto!”.
Entro.
C’è un discreto casino, ma temevo peggio, becco i due dell’ambulanza e mia madre sul lettino, ha la faccia un po’ spaventata, un po’ rassegnata, i capelli spettinati, è pallida, mi si stringe lo stomaco e capisco quanto sia importante una buona “messa in piega” per una donna di qualsiasi età, perché da dignità.
Entriamo quasi subito all’accettazione, sono incredulo, temono anche loro una trombosi, 5 minuti dopo sono in una saletta piena di barelle, parenti e malati, in maggioranza anziani, è tutto un po’ provvisorio, non ci sono sedie per i parenti, anche perché i parenti dovrebbero stare fuori, nella sala d’attesa, ma non ci sta nessuno e non lo trovo mica strano. Come fai ad abbandonare li tua madre o padre, da soli, spaventati, magari rincoglioniti che ci sono solo due infermieri in camice verde, con le facce tirate e un po’ incazzate?
Mi domando cosa si sono fatti gli architetti che hanno progettato questo posto, corridoi enormi e stanze piccolissime. E mi viene in mente un altro pensiero, quanto sono importanti i dettagli, quanto è importante progettare uno spazio del genere in modo che sia comodo e confortevole, “umano”, pensato per non spaventare gli astanti e per permettere ai parenti di stare vicino ai loro cari, senza intralciare il lavoro di infermieri e medici, invece è tutto approssimato, abbozzato nello stile a “cazzo di cane”, ben diffuso in tutto lo stivale. In sostanza un caos.
Dopo meno di mezz’ora mia madre viene fatta entrare in una stanzetta colma di apparecchi, non c’è spazio, io ho il borsone per il ricovero, la mia borsa, il sacchetto con tutti i documenti e gli esami e le prescrizioni che mia madre fa da 15 anni e non so dove cazzo appoggiarli, li impilo a fianco al muro vicino ad uno strano apparecchio  e iniziano prelievi del sangue, la macchina che si usa col gel, tipo quelle per le donne incinta, con una dottoressa dalla faccia stravolta e tiratissima che controlla il ginocchio gonfio e tumefatto di mia madre, passa un infermiere che si attacca al telefono cercando non so bene che aggeggi per i prelievi che dice: “in tutto il pronto soccorso ne ho 4, ci sono 70 persone, tu ne hai li da fornirci un po’?”.
L’italico stile “a cazzo di cane”, appunto.
Non ricordo le domande che la dottoressa mi ha fatto, so solo che mi sento terrorizzato, come sott’acqua, tutti i rumori mi arrivano ovattati.
Ci mandano fuori, fatti i prelievi, mancano ecografia, lastre e non so cos’altro, dobbiamo aspettare.
La velocità con cui ci hanno ricevuto mi fa ben sperare, ma non ho la minima idea di quanto mi stia sbagliando. Ritorniamo nella saletta d’attesa infernale e mi sistemano mamma alla bell’e meglio vicino al corridoio, a fianco ha tre anziani, più di la che di qua, sguardo cinereo, pelle grigia, spettinati, spaventati. Quello a fianco di mia madre è in evidente alzeimher, straparla ad alta voce, la figlia vicina al letto, imbarazzatissima cerca di contenerlo con molta dolcezza e mi lancia sguardi di scuse. Vorrei gridarle che non è colpa sua è questo posto che è assurdo e per suo padre ci voleva una collocazione diversa, ma mi limito a sorriderle. Comincio a non farcela più a stare in piedi, guardo l’altra parete, anziani ancora, una signora, magra e di una certa eleganza naturale, con marito al seguito, ha un colorito, grigio, ma grigio brutto, è impressionante. Scoprirò poi ascoltando stralci di conversazione col marito, che ha una strana febbre e in effetti la stanno bombardando di antibiotici con una flebo.
Anziani.. penso che invecchiare sia veramente tremendo, quando la malattia riesce a portarti via la dignità e diventi qualcosa di misero, derelitto, prego il Signore che mi faccia crepare in 5 minuti, un bell’infarto, ma per favore non farmi diventare un portatore di medicinali ambulanti che sopravvive malamente alla malattia e agli effetti collaterali dei medicinali, che non sai più quale delle due cose è peggio.
Mia madre è lucida, lo è sempre stata nonostante le mille problematiche, anche se è diventata una rompicoglioni incredibile e mi sembra che in mezzo a quel delirio, spicchi per dignità e compostezza, ma forse è solo lo sguardo non obiettivo di un figlio.
Siamo entrati alle 4 e mezza del pomeriggio, guardo il cellulare e sono le sette e mezza, stranamente non sento fame.
“Mamma hai fame?”
“No gu fam no!”
Mia mamma parla spesso in dialetto milanese o meglio una versione più stretta della bassa, a volte italianizza parole milanesi con un effetto esilarante.
Arriva l’infermiere e ci sposta in un corridoio enorme per l’ecografia, il corridoio ha l’aria condizionata a palla, si gela, mia madre mi dice che ha freddo, cerco di coprirla alla meglio con i vestiti che le hanno levato, mettendoli sopra al lenzuolo con cui l’hanno messa sul lettino con le ruote, aspettiamo di entrare nell’ennesima microscopica stanzetta.
Finalmente mi siedo, qui ci sono tante sedie, tutte vuote, guardo un po’ il cellulare ma non riesco a leggere, allora passeggio per il corridoio, la schiena mi fa un male boia, ogni tanto vado a stringere le mani di mia madre. Non sono bravo con le parole in questi frangenti, le parole mi si impietriscono in fondo alla gola.
Penso che se stiamo ancora aspettando, il problema alla gamba, non deve essere una trombosi, se no l’avrebbero già ricoverata, intanto attendiamo, sono leggermente rincuorato.
Fatta l’ecografia, si torna di là nel delirio, mi ritrovo in piedi, la schiena fa malissimo, mamma resiste stoicamente, senza bere, senza mangiare, forse sono le nove.
Penso come mai nessuno pensa perlomeno a dare acqua ai pazienti, ci pensano i parenti che fanno avanti e indietro intrufolandosi nelle porte che si aprono solo dall’interno, di ritorno dall’area ristoro con bottigliette d’acqua e caffè, quando qualcuno apre dall’interno, oppure vanno a rompere le balle alla guardia giurata all’ingresso.
Poi guardo lo schermo su cui compaiono il numero di pazienti, 55, 18 in codice giallo, 36 in codice verde, 1 in codice rosso, una trentina in accertamento, due o tre in osservazione, gli altri in attesa di essere visitati.
Capisco perché, devono esserci non più di 4 o 5 medici e 3 o 4 infermieri, con la faccia tiratissima, assolutamente insufficienti, figurati se pensano al bere e al mangiare dei pazienti.
“Mamma ti porto qualcosa da mangiare e da bere?”
“No Daniele non ho fame, portami un caffè.”
Macchiato lo so già, esco per prendere acqua e caffè e ad un certo punto quando sto per andare dalla guardia giurata per chiedere cortesemente di aprirmi per rientrare, la guardia è sparita, sento voci concitate e vedo tutti i parenti uscire da una porta. La guardia giurata ha dato di matto e secondo regolamento a mandato i parenti in sala d’attesa. Il regolamento è regolamento, ma il regolamento fa schifo, la maggior parte degli anziani li dentro ha bisogno dei parenti vicino, porco cazzo, mi rassegno, non ho più forze e nemmeno lucidità, esco a fumare, non so quante ore che non fumo, con l’ansia che l’altoparlante chiami proprio il nome di mia madre per farmi rientrare (questo è il sistema pare), ma non accade, mi metto a chiacchierare con i parenti defenestrati in particolare una signora, credo della mia età con la madre piuttosto rincoglionita, che mi dice, preoccupata, che sua madre essendo un po’ fuori controllo, non può essere lasciata sola. Ha gli occhi lucidi, acquosi, non capisco se dal pianto o da un’infinita stanchezza, la sento vicina nella fatica di accudire un genitore anziano, nel dovere di accudire un genitore che ci ha generato, cresciuto, amato.
La sala d’attesa non è male, ci sono distributori di caffè e merendine varie, c’è persino un televisore che trasmette un film con Claudio Bisio su canale 5, penso che potrebbe essere un ottimo sistema per distrarmi un po’ e mi siedo, rendendomi subito conto che audio e video sono fuori sincrono, impossibile seguire i film. La famosa cura dei dettagli appunto. Passa un’ altra ora, due, non so più, ad un certo punto vado all’accettazione, è sera inoltrata sono cambiati i turni e adesso c’è una ragazza carina e gentile, le spiego che mia madre è li dalle 4 del pomeriggio, avrà bisogno almeno di bere un po’ d’acqua e le chiedo a che punto è la sua situazione, lei prende il telefono, si informa, mi dice ancora un esame del sangue, una lastra da fare e mi fa entrare, mia madre è la, ha un espressione che non so, vorrei piangere, mi sento dentro ad un incubo, intanto gli ho portato una bottiglietta d’acqua dal distributore.
“Trovati una sedia li in corridoio, almeno riposi un po’!”
E’ mia madre che si preoccupa per me, mentre beve l’acqua, convengo che devo sedermi, ma in corridoio nemmeno una sedia libera, già molti ci dormono sulle sedie, anche molti sulle barelle.
Trovo però una nicchia con gradino nella parete del corridoio, mi ci posso sedere, vicino ho pure una presa di corrente e ne approfitto per caricare il cellulare, perché devo mantenere aggiornata mia sorella che mi chiama ogni due ore. La posizione è perfetta, riesco a tenere sotto controllo mia madre, anche se a distanza e a sedermi, finalmente, appoggio la testa al muro e mi assopisco subito. E sogno.
Sono ancora al pronto soccorso, ma è completamente vuoto, c’è un silenzio assoluto e le luci sono soffuse, crepuscolari, ci sono i lettini, le sedie a rotelle, le sedie nei corridoi, ma non c’è nessuno, sono spariti tutti, anche mia madre, ma non ho paura. Mi aggiro per il pronto soccorso, camminando lentamente, i corridoi si sono fatti lunghissimi, sembrano non finire mai, un grande senso di pace mi pervade e continuo a camminare, anzi mi sento proprio bene, ho sempre amato i luoghi deserti, non ho mai ben capito perché, non sono minimamente preoccupato per mia madre, so che sta bene, anche se non si trova più li, si sente il trillo di un cellulare, qualcuno riceve una telefonata e mi sveglio.
Sono ancora li, saranno passati 5 minuti e sarà mezzanotte mi sento stanco come se mi fosse passato un Tir addosso, arriva un infermiere e sposta il lettino di mia madre, li raggiungo subito e si va a fare la lastra, aspettiamo poco per fortuna nel corridoio gelato, poi torniamo all’attesa e le fanno un esame del sangue, in realtà è il secondo, questa volta lo fa un’infermiera donna, un po’ ruvida, ma simpatica, ci dice che se vuole mia madre adesso può mangiare un tramezzino, ma mia madre dice che non ha fame.
Ormai è l’una, io mi sento come se fossi in attesa della fine del mondo, immagino come si senta mia madre e FINALMENTE ci chiamano, in uno degli stanzini claustrofobici per dirci che NON C’E’ NESSUN TROMBO, che ha solo del liquido nella protesi al ginocchio, che deve fare non una ma due punture di eparina per fluidificare il sangue, di andare a toglierlo dall’ortopedico.
Vorrei gridare, perché cazzo non lo fanno loro? Perché il pronto soccorso è sotto organico e organizzato come un film dell’orrore? Vorrei andare dal primario e prenderlo a schiaffi per insegnargli che i pazienti non sono numeri, vorrei andare dal presidente della regione e prenderlo a pugni, che se fanno pagare per gli esami e la gente in più deve aspettare mesi è chiaro che va a intasare i pronto soccorso, vorrei andare dal presidente del consiglio e dai parlamentari infilandogli una flebo all’acido muriatico nel culo, per come stanno riducendo la sanitò pubblica, vorrei fare tutto questo e vorrei menare quelli che dicono “ah della politica non me ne frega niente”, ecco questa è la politica, questo fa la politica..  ma sto zitto, VOGLIO SOLO ANDARMENE.
Dico solo, alla dottoressa che ci illustra la situazione: “e’ consapevole che siete sotto organico in maniera vergognosa?”. Lei che guarda lo schermo del pc, mentre scrive la diagnosi, lancia la stampa e intanto parla con noi, si volta, mi guarda negli occhi, con un’ espressione tra il teso e il cane bastonato mi risponde: “la prego, non me ne parli!”.
L’infermiera ci porta fuori, sposta mamma dal lettino a una sedia a rotelle, ci avvisa che ci accompagnerà fin all’ingresso e mi aiuterà a farla entrare in auto, che dovrò portare dove arrivano le ambulanze.
Mi sento alleggerito di 100 chili, usciamo, Dio! USCIAMO.
“Mamma vado un attimo in bagno”
Quando torno mia madre è sola sulla sedia a rotelle, vicino alla porta, l’infermiera è sparita.
“Ok mamma andiamo, mi arrangio da solo!”
“Ma ha detto di aspettarla!”
“Fanculo, io non aspetto più nessuno!”
Porto mia madre nell’atrio, corro fuori, recupero l’auto, pago il parcheggio alla macchinetta, che culo solo 5 euro per tutta la giornata, mi aspettavo un venti, porto la macchina all’ingresso ambulanze, rientro spingo mia madre all’auto, a fatica la faccio entrare in auto, spingo la sedia nell’atrio, si arrangino loro a riprenderla, ed esco. Due secondi sono in auto, parto, si torna a casa.
Si scoprirà poi che non era un liquido nel ginocchio, ma sangue, dovuto ad un ematoma interno, causato da chissà cosa, l’ortopedica poi gli ha fatto un bendaggio troppo stretto e la situazione è peggiorata, altro dottore altro ospedale, ma questa è un'altra storia, che fortunatamente si è conclusa bene, ma ci è voluto un mese.
Per adesso siamo in macchina, non parliamo, dico solo a mia madre che io ho fame e anche se è l’una passata io una pastina me la faccio e mia madre conviene che la mangerà pure lei, poi silenzio, intanto sto attento a non superare i limiti di velocità, o scatta la multa dell’autovelox, perché qui  da noi, usa così.

M13
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