RACCONTI: "La mia Babi (2/3)" di Jacopo Marocco
Seconda parte (per rileggere la prima parte LA MIA BABI 1/3) del racconto di jacopo Marocco, godetevelo (altre sue pubblicazioni: BATMAN E CATWOMAN e L'ALIENO), la terza e conclusiva parte la prossima settimana.
Buona Lettura..
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Come d’uso lascio i link per il suo sito e il suo profilo twitter:
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Twitter: Jacopo Marocco
La Marchesa
LA MIA BABI (parte 2/3)
Io prendo la vecchia per le gambe, il Cinese la prende per le spalle, e la tiriamo su. Pesa come un sacco pieno di piombo, e mentre la trasportiamo verso la poltrona la vecchia si riprende e inizia a vaneggiare. Non fa che ripetere, piagnucolando, qualcosa tipo “Babi, oooh, babi… babi…”.
Guardo il Cinese e faccio:
“Che cazzo dice?”
“Ma che ne so”, fa lui, “boh, le sarà andato un attimo in tilt il cervello, che cazzo ne so io?!?”.
Finalmente arriviamo alla poltrona e ce la scarichiamo sopra.
Credo che dopo questa, un’ernia al disco è scontata.
La vecchia continua a lamentarsi, e a dire “Babi… oh babi… babi… “. Sembra che stia sognando.
Alla tv, come immaginavo, c’è la Carlucci che, strizzata dentro un vestito di due taglie in meno, conduce quel programma con quei vip falliti che ballano.
Prendo fuori dallo zaino la corda e inizio a legare la vecchia. Intanto, il Cinese si mette a guardare dietro i quadri, ad aprire tutti i cassetti e le ante dei vari mobili che ci sono, alla ricerca di soldi o comunque qualcosa di valore.
Chiedo alla vecchia di dirmi dove tiene il denaro, ma risponde “Babi… babi… oooh… babi…“, e basta.
Così lascio perdere e mi metto alla ricerca anche io.
Qui, in soggiorno, non c’è niente, nemmeno la tv sembra avere alcun valore, se non in un negozio di antiquariato. Così passiamo al salone, alla cucina, e ad un’altra stanza. Niente. Poi io apro una porta.
Vengo investito da un cattivo odore, tanto che mi viene da tossire. Il Cinese è alle mie spalle. Oltre la porta c’è il buio pesto. Intravedo un interruttore, lo premo e si accende una luce che illumina una lunga fila di scalini che vanno verso il basso, verso un fondo. Una cantina.
“Senti,” faccio al Cinese, “io laggiù non ci vengo manco per il cazzo. Sembra proprio la scenografia tipica di un film horror. Come minimo ora scendiamo e c’è uno che ci aspetta con la motosega”.
Il Cinese mi dice di chiudere la porta e fa:
“Ok, andiamo di sopra, ci dovrebbe essere la camera della vecchia, e se non sta nemmeno lì il grano… beh, bella inculata che abbiamo preso”.
Al pronunciare di queste parole mi viene in mente il Vicedirettore. Provo a scacciarlo dai miei pensieri, e nel frattempo inizio a salire le scale col Cinese. Cerco di stargli sempre accanto al mio amico, perché ‘sta casa mi mette inquietudine. Tanta inquietudine. So che è stupido, perché alla fine sono io il ladro, sono io quello che in teoria dovrebbe essere temuto e non il contrario, ma è così e non so che farci.
In lontananza sento ancora la voce di quella fallita della Carlucci che chiede ad una giuria di falliti un giudizio sull’ultima coppia di falliti che hanno ballato.
Al piano di sopra non va molto diversamente da come è andata da basso.
Nella camera della vecchia troviamo solo un anello d’oro e cinquanta euro. Potrebbe essere sufficiente per farci qualche schizzetto, ma cazzo, stiamo rischiando la galera e sinceramente non mi accontento nemmeno io.
Andiamo in un’altra stanza, un’altra camera da letto, probabilmente la camera da letto che un tempo era delle figlie della vecchia: ci sono due letti singoli e alle pareti è pieno di foto di due ragazzine.
Non troviamo nulla neanche qui.
Frughiamo in uno stanzino, ma niente. Mettiamo tutto a soqquadro. Visitiamo altre due stanze, ma non esce fuori nemmeno un centesimo.
Scendiamo di nuovo di sotto, bestemmiando.
Andiamo in soggiorno per interrogare la vecchia.
Sembra svenuta. Le tiriamo dell’acqua addosso, e un po’ si riprende.
“Dove cazzo sono i soldi vecchia?”, le urla il Cinese. “Dove stanno, eh?”, gli faccio eco io. Siamo entrambi molto nervosi ora.
La vecchia mormora qualcosa, fa fatica, non si capisce. Sussurra qualcosa, mi avvicino con l’orecchio per capire meglio, ma quello che capisco è che continua con quella sua fottuta lagna fatta di Babi…babi… babi…
Sento qualcosa montarmi dentro, rabbia, tanta rabbia e le sto per dare un pugno dritto sul collo, poi però dice qualcosa, qualcosa di diverso. Tra un Babi e un altro, dice anche “Di sotto”.
Bingo!
Io e il Cinese ci guardiamo e andiamo di corsa alla porta della cantina. L’apriamo, accendiamo la luce e stavolta non penso alla paura di scendere e alla puzza che ci assale. Tutta questa fatica per quel piccolo bottino mi ha incattivito. Voglio andar via da qui con qualcosa di più che un anello d’oro e cinquanta euro.
Ci scapicolliamo giù per queste scalette, e arrivati sotto troviamo qualcosa che non ci saremmo mai aspettati.
Ci metto un po’ a realizzare che ciò che sto vedendo non è frutto di una allucinazione, ma è pura e semplice realtà. E’ difficile credere ai propri occhi quando ti trovi davanti un tavolo con sopra così tanti soldi. Devono essere migliaia e migliaia di euro. In contanti, mazzette di contanti.
Entrambi siamo senza parole. A bocca aperta.
Il Cinese non perde tempo e prende fuori dalle tasche due buste della spesa, una la dà a me e una la tiene per sé, e insieme ci buttiamo a capofitto sui soldi e prendiamo a riempire le buste senza tregua.
Alla quinta o sesta cacciata di tutti quei quattrini nei sacchetti, avverto qualcosa alle spalle. Una presenza. Faccio appena in tempo a girarmi e a vedere qualcosa che non va, poi qualcosa di immondo mi si schianta in faccia e svengo.
Mi riprendo. Siamo sempre nella cantina, e davanti a me c’è il Cinese. Lui ancora non sembra essersi ripreso. Non indossa più la maschera, e a guardarlo la prima cosa che mi viene in mente è lui ad un festa di carnevale di un paio di anni fa. Quella volta si era vestito da neonato. E non era così diverso da come è conciato ora. Già perché adesso se ne sta seduto a terra, appoggiato al muro, con indosso solo una cuffietta di stoffa bianca e celeste in testa e un pannolone da adulto a coprirgli le parti intime. E in bocca ha quello che sembra proprio essere un ciuccio. Ha le mani e i piedi legati ed è privo di sensi.
Ci metto poco a capire che anche io non sto messo diversamente da lui: cuffia, pannolone, ciuccio, mani e piedi legati.
Sputo il ciuccio, provo a liberarmi e poi ad alzarmi, ma non mi riesce di fare nessuna delle due cose. Sono immobilizzato. La sensazione è terribile. Soffocante. Penso che potrei dare di matto se non mi slegano immediatamente. Per fortuna non indosso più la maschera, altrimenti la sensazione di soffocamento sarebbe stata maggiore e insopportabile.
Cerco di tranquillizzarmi.
Mi guardo un po’ intorno. Per terra, sparsi qua e là, ci sono dei bambolotti, o meglio ci sono varie parti di bambolotti. Per lo più teste separate dal proprio corpo.
Sento un rumore strano. Molto a fatica giro la testa per guardare alla mia destra.
La prima cosa che faccio è urlare, la seconda è urlare ancora più forte quando vedo quella “cosa” davanti a me.
Cos’è? Cosa cazzo è?
Non saprei descrivere quello che vedo. Direi solo che è un qualcosa che somiglia a la Cosa de I Fantastici Quattro. Ma con i capelli lunghi e radi.
E’ qualcosa di grosso. Sarà quasi due metri e molto, ma molto robusto. Ha tutto sovradimensionato: le braccia, le gambe, il collo, il busto. Tutto è gigantesco. Le mani sono orribili, corte e tozze in una maniera inverosimile. La faccia è tutta butterata. Gli occhi sembrano volergli uscire della orbite.
L’essere indossa una maglietta che sarà una XXXXXXXXXL, ma sembra che si stia comunque per strappare in mille pezzi da un momento all’altro. Stesso discorso per il pantaloncini corti che indossa.
La “cosa” respira forte, e male. Quasi grugnisce. Anzi, grugnisce proprio. Mi guarda, e grugnisce. Dà fastidio alla vista. Disgusta.
Mi viene da vomitare.
Il mostro fa un altro grugnito, poi, da dietro le sue spalle, quasi scenicamente, spunta la vecchia. Si tiene una borsa del ghiaccio in fronte. Sembra minuscola accanto a quell’essere. Con una mano lo tocca e fa:
“Babi, hai visto che alla fine qualcuno è venuto a trovarti?”
L’essere sorride, e mugugna qualcosa, qualcosa di incomprensibile.
Quindi quel Babi con cui la vecchia ci ha fracassato le palle per tutto il tempo è questa “cosa” qua.
La vecchia mi guarda e dice:
“E pensare che era da un po’ che qualche ladruncolo come voi non passava più da queste parti, quasi non ci speravo più, e invece…”
Dice:
“La mia Barbara è davvero contenta che siete venuti”
Barbara? Come Barbara?
La vecchia deve leggermi nel pensiero, o forse capisce qualcosa dalla mia espressione interrogativa, così, poggiando delicatamente una mano sul grosso braccio del mostro, dice:
“Barbara, è lei, la mia bambina. Io la chiamo Babi da quando è piccola, da quando non riusciva a dire il suo nome in maniera corretta e diceva Babi…. La mia Babi…”. La vecchia sorride.
(Continua Mercoledì prossimo)
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