RACCONTI: I giorni del piumone
Dopo tanto tempo aveva preso un’influenza e anche una di quelle più perniciose, una di quelle che colpiscono l’apparato digerente, che anche se ormai il peggio era passato, restava spossato e stanco a letto.
Il silenzio, il grigio e la nebbia fuori. Dalla finestra tutto il mondo pareva sfumato, indefinito, in parte angosciante, in parte pieno di fascino. Certo da dentro era bello, da sotto le coperte, l’idea anche solo di uscire per 5 minuti pareva terrorizzarlo. Detestava l’inverno e aveva sviluppato una sorta di idiosincrasia per le basse temperature, da quando anni prima aveva provato l’ebbrezza di vedersi tagliare il gas in pieno inverno ritrovandosi con 8 gradi di media in casa. E così aveva capito cosa significasse avere freddo dentro e sempre, aveva capito come anche solo lavarsi il viso e infilarsi una maglietta potessero diventare vere torture e che in fondo la tanto vituperata società dei consumi avesse dei pregi non indifferenti, le case ben riscaldate e l’acqua calda erano alcuni di questi.
Il silenzio era assoluto e tutti gli apparecchi dedicati alla comunicazione erano spenti, tv, pc, cellulare, tablet.
Non sapeva spiegarlo, sapeva solo che non aveva voglia di comunicare con nessuno, di vedere il solito fb e le solite personali ossessioni di ognuno, chi i gattini, chi il dimagrimento, chi Renzi, chi il Movimento, chi le frasi storiche e piene di saggezza. Era consapevole che non esisteva mai un solo modo di vedere le cose, a volte interagiva attivamente e convintamente, certo selezionando e non venendo mai meno ad alcuni principi irrinunciabili, tipo non farsi mai un selfie, ma comunque interagendo, proponendo. Non demonizzava, utilizzava e non dimenticava i buoni incontri fatti in rete, ma anche la consapevolezza che era troppo, troppe informazioni, troppi stimoli.
Ma oggi tutto doveva stare fuori, avvolto nella nebbia, il posto dove abitava sembrava l’ultimo avamposto del mondo, ottimo materiale per un prossimo racconto di fantascienza.
Il piumone di vera piuma d’oca era una delizia e lui stava li a guardare fuori dalla finestra, le piante di kiwi cariche di frutti e le foglie quasi tutte sul terreno, nessun pensiero particolare, solo a gustarsi quell’incredibile silenzio, quel senso di sospensione.
In momenti come questi sembrava davvero che il mondo non esistesse e fosse tutto il frutto della sua mente e inevitabilmente se pensava al livello di bassezza, barbarie e mediocrità raggiunto da questo mondo, doveva ben avere una mente malata.
La vita era diventata dura, davvero molto più dura di qualche anno fa. Diritti sempre più risicati, istituzioni sempre più nemiche, paura, terrorismo, guerre, ma non aveva ancora capito se era peggio essere ammazzati in un istante da un fanatico religioso psicopatico, in un teatro mentre ascoltavi un concerto, oppure se essere mangiato un pezzo al giorno dalla lotta infinita per riuscire a pagare le bollette, pregando di non ammalarti seriamente e senza sapere come farai quando sarà il momento della pensione.
Se pensava a tutto questo si sentiva mancare il fiato.. ma ora tutto questo era fuori, era lontano, quel momento era perfetto. Li chiamava “stati di grazia”.
I pensieri andavano e venivano, dal nulla a pensieri cupi e densi, ma si ricordò anche, che ormai credeva, alla sua età di non potere più innamorarsi, viversi una relazione, interessare per davvero qualcuno o che qualcuno potesse interessarlo davvero, di poter provare quel carico meraviglioso di emozioni e tensioni positive che si provano in tali situazioni. Poter provare il senso di comunione. Invece gli era accaduto e quindi in fondo, la vita non era poi tanto male.
Ma restava quell’insopportabile effetto collaterale delle influenze intestinali, un senso di flatulenza continuato che gli faceva pensare che in fondo al tutto, la vita non fosse altro che un’immensa scoreggia.
LaMarchesa13
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