CONSIGLI CINEMATOGRAFICI: ANNIENTAMENTO (Garland Vs. Tarkowsky)



Da poco ho finalmente preso contatto con il mondo Netflix, in generale chapeau, che produzioni. Dopo aver visto cosa fanno, sono certo che la tv, così come è, è destinata all’estinzione!
Oggi vi voglio parlare di un film uscito al cinema solo in America, ed in Europa solo su Netflix intorno a marzo di quest’anno. Poco importa, certo, visto la cura visiva del film vederlo su grande schermo deve essere un godimento, ma anche vederlo sullo schermo di casa non scherza. Il regista Alex Garland ha confezionato un film di fantascienza vera, dove l’occhio gode tantissimo, l’azione è assolutamente minoritaria, la lentezza tanta, il fascino enorme.
La storia: In una zona protetta degli Stati Uniti denominata Area X, quattro scienziate devono partire in missione per scoprire la natura dello strano bagliore, sotto forma di nebbia brillante e ipercolorata, che ha colpito la zona e che ha inghiottito i membri delle precedenti spedizioni. Nessuno è mai tornato, a parte Kane, il marito della biologa Lena. Sarà proprio quest'ultima, dopo aver visto il marito, completamente perso e distante mentalmente sentirsi male ed essere messo in quarantena, a unirsi alla missione e entrare nell'Area X per scoprirne il mistero.

Quindi una prima cosa strana, invece del solito gruppo di militari al testosterone, un gruppo di donne, scelta che si rivela perfetta per l’atmosfera sospesa e inquietante del film. Si scoprirà poi che le protagoniste hanno tutte una qualche forma traumatica alle spalle, qualche evento o situazione da cui fuggire, per entrare in quest’area, che da subito si rivela, misteriosa, sospesa, come se lo scorrere del tempo fosse alterato, rallentato, confuso.
Sospensione e silenzio e primi incontri con piante impossibili, colori sgargianti, enormi coccodrilli albini con dentatura inusuale, orsi impazziti e deformati, e gli uomini delle precedenti spedizioni, con i corpi mescolati alle piante e alle muffe, fino a creare quasi delle opere d’arte visionarie e allucinate di un artista in acido… qualcuno gioca a mescolare il dna delle creature e il tutto risulta di un’inquietudine al limite della follia.
In questo contesto spicca su tutte, la protagonista Natalie Portman, in totale stato di grazia e forse persino troppo, gli altri personaggi sono un po’ abbozzati nella loro psicologia e ben presto la Portman prende totalmente la scena e lo fa dannatamente bene. Tutte le protagoniste, finiscono per venire influenzate dalla zona e in qualche modo, sia fisico che mentale, ne vengono inghiottite, tranne la Portman che riesce a raggiungere il centro della zona, un fantomatico faro vicino al mare, attorniato da piante trasformate in cristallo dove si svolge un finale di film che visivamente si fa di un sontuoso, acido, angosciante, elegante e misterioso, assolutamente pazzesco.
Nonostante la lentezza del film, che però è totalmente funzionale alla storia, (inoltre io amo i film lenti, mi ci perdo), qui ero in uno stato di immersività totale, ero dentro al film in attesa di capire il perché di tutto quello che vedevo, e quando un film ti prende così, vuol dire che funziona.
Sarebbe molto facile dopo la visione, parlare di metafora psicologica dei personaggi che attraverso il mistero e l’alterazione, il cambiamento attraverso qualcosa di alieno, si ritrovano mutati e rinati, ho letto parecchie recensioni di questo tenore, ma io lo trovo un esercizio un po’ presuntuoso, magari l’autore mentre scriveva il testo pensava alle tette della fidanzata, e semplicemente lasciava scorrere la storia dentro di se, senza troppa intenzionalità, come sempre accade quando si crea. Nel mio piccolo quando scrivo racconti, mica penso ai simboli e alle metafore, scrivo e basta, anzi sono i personaggi che mi guidano e vivono di vita propria. Magari dopo mi accorgo di riferimenti e simboli, ma che magari un’altra persona trova del tutto differenti. L’arte funziona quando ognuno ci trova dentro qualcosa di se.
Quindi preferisco dire che è una storia dolente di persone in qualche modo ferite che si confrontano con qualcosa di totalmente alieno e straniante e ne escono in qualche modo mutate, incomprensibile se umane o aliene, o un mix dei due stati, come l’ultima inquadratura dell’abbraccio tra Lena e il marito ritrovato, lascia supporre.
A questo punto della mia recensione, non posso non citare un capolavoro del cinema del 900, sto parlando di Stalker di Tarkowsky, il regista Russo che ho amato smodatamente nella mia giovinezza, da cui a mio avviso Garland ha pescato a piene mani, le storie dei due film sono talmente sovrapponibili che è quasi impossibile che non ci sia stata una contaminazione. Vi è però una differenza sostanziale tra le due pellicole, mentre il regista russo, lascia intuire e svela poco, soprattutto visivamente, lavora sull’interno dello spettatore, Garland squaderna tutto, soprattutto nell’apoteosi visiva coloratissima della scena culmine dell’incendio al faro.

E qui si mi viene da pensare che i due film sono una perfetta sintesi del modo di raccontare americano e russo.
Insomma io ho goduto un sacco nel vedere questo film, ve lo consiglio, ma vi consiglio se riuscite a recuperarlo di andarvi a guardare anche quello di Tarkowsky, poi capirete da voi quale dei due modi di raccontare vi appartiene di più, di certo tutti e due colpiscono nel profondo e io che amo smodatamente la fantascienza e per tanti anni ho sentito dire che il cinema di fantascienza era morto, non posso che esserne felice. E dopo la visione di questo film posso affermare che è vivo, vegeto, e in buona salute.
M13
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